Atteggiamenti irragionevoli

 

CANZONE DELLE DOMANDE CONSUETE


(F. GUCCINI)

 

Disperazione o attesa...

 

Questa canzone, premiata a livello internazionale, non ha bisogno di particolari commenti: Guccini confessa il suo smarrimento totale e la sua radicale incapacità di trovare un senso adeguato alla sua esistenza. Il tempo trascorso ha dimostrato la vacuità delle cose, ha demolito le false speranze ("quanto vanno disperse trascinate dai giorni come piena di un fiume tante cose sembrate e credute diverse"), ha ingigantito la questione di sempre: sapere chi si è, che senso ha la vita, il tempo, le persone...

Rispetto però alla canzone precedente non c'è in questa un nichilismo assoluto; c'è invece da una parte il desiderio che la persona amata non si allontani, che con lei si possa parlare ("parlami di noi"), e dall'altra l'espressione di una attesa, tenue ma ancora viva: "tanti anni e son qui ad aspettar primavera...".

 

Di questa attesa parla in modo chiaro Clemente Rebora nella sua poesia Dall'immagine tesa, in cui il mondo è riconosciuto come un'immagine che fa tendere, che chiama a qualcosa d'altro:

"Dall'immagine tesa

Vigilo l'istante

Con imminenza di attesa -

E non aspetto nessuno:

Nell'ombra accesa

Spio il campanello

Che impercettibile spande

Un polline di suono -

E non aspetto nessuno:

Fra quattro mura

Stupefatte di spazio

Più che un deserto

Non aspetto nessuno:

Ma deve venire,

Verrà, se resisto

A sbocciare non visto,

Verrà d'improvviso,

Quando meno l'avverto:

Verrà quasi perdono

Di quanto fa morire,

Verrà a farmi certo

Del suo e mio tesoro,

Verrà come ristoro

Delle mie e sue pene,

Verrà, forse già viene

Il suo bisbiglio"[1].

 

 

Ancora qui a domandarsi e a far finta di niente

come se il tempo per noi non costasse l'uguale,

come se il tempo passato ed il tempo presente

non avessero la stessa amarezza di sale.

 

Tu non sai le domande, ma non risponderei

per non strascinare parole in un linguaggio d' azzardo;

eri bella , lo so, e che bella che sei, dicon tanto un silenzio e uno sguardo

 

Se ci sono non so cosa sono e se vuoi

quel che sono o sarei, quel che sarò domani ...

non parlare non dire più niente se puoi,

lascia farlo ai tuoi occhi e alle mani.

 

Non andare...vai. Non restare... stai.

Non parlare...parlami di te.

 

Tu lo sai, io lo so, quanto vanno disperse,

trascinate dai giorni come piena di fiume

tante cose sembrate e credute diverse

come un prato coperto a bitume.

 

Rimanere così, annaspare nel niente,

custodire i ricordi, carezzare le età,

è uno stallo o un rifiuto crudele e incosciente

del diritto alla felicità?

 

Se ci sei cosa sei? Cosa pensi e perché?

Non lo so, non lo sai, siamo qui o lontani?

Esser tutto, un momento, ma dentro di te.

Aver tutto, ma non il domani.

 

Non andare...vai...

 

E siamo qui, spogli, in questa stagione che unisce

tutto ciò che sta fermo, tutto ciò che si muove;

non so dire se nasce un periodo o finisce,

se dal cielo ora piove o non piove,

 

pronto a dire "Buongiorno" , a rispondere "Bene"

a sorridere a salve, dire anch'io "come va?".

Non c'è vento stasera. Siamo o non siamo assieme?

Fuori c'è ancora una città?

 

Se c'è ancora balliamoci dentro stasera,

con gli amici cantiamo una nuova canzone ...

... tanti anni, e sono qui ad aspettar primavera.

Tanti anni, ed ancora in pallone

 

Non andare... parlami di noi.

 

 

 

 

 


 



[1] Cit. in Le mie letture, p. 65.